La Convenzione per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata il 20 novembre del 1989, ha più di 30 anni ed è il trattato internazionale sui diritti più ratificato al mondo, avendo 196 stati parte, tra cui l’Italia, che lo ha sottoscritto il 27 maggio 1991 con la legge n. 176.
Nonostante la lunga vita della convenzione e la larga adesione internazionale ai suoi principi, la condizione dell’infanzia nel mondo resta drammatica. Unicef stima che oltre 400 milioni di bambini vive in stato d’emergenza e 120.000 sono stati uccisi. Nell’80% dei casi i bisogni umanitari sono dovuti a un conflitto. Questi i dati dal 2005 al 2022, ma se pensiamo ai recenti conflitti, in poco più di un mese sono stati oltre 4.000 i bambini uccisi nella striscia di Gaza, 3 milioni quelli sfollati dal Sudan, due terzi dei bambini ucraini sono stati costretti a lasciare la propria casa, in Siria oltre 600.000 bambini sotto i 5 anni soffrono di malnutrizione cronica. Ma anche in un Paese del primo mondo, come il nostro, che non è toccato direttamente dai conflitti, essere bambini è un fattore di rischio.
In Italia il numero di individui in povertà assoluta (1) è quasi triplicato dal 2005 ad oggi. Sono in questa condizione più di 2 milioni di famiglie e quasi 1 milione e mezzo di bambini e bambine. Inoltre 1 minorenne su 4 è a rischio di povertà relativa. A questi rischi si aggiunge quello di povertà educativa, cioè “la privazione da parte dei bambini, delle bambine e degli/delle adolescenti della possibilità di apprendere, sperimentare, sviluppare, far fiorire liberamente capacità, talenti e aspirazioni”. Non si tratta quindi di una lesione del solo diritto allo studio, ma della mancanza di opportunità educative a tutto campo, connesse alla fruizione culturale, al diritto al gioco e alle attività sportive. La povertà educativa è quindi un concetto più ampio e complesso, seppur correlato alla povertà materiale. Qualche esempio: il 67,6% dei minori di 17 anni non è mai andato a teatro, il 62,8% non ha mai visitato un sito archeologico e il 49,9% non è mai entrato in un museo. Il 22% non ha praticato sport e attività fisica e solo il 13,5% dei bambini e delle bambine sotto i 3 anni ha frequentato un asilo nido, questo nonostante sappiamo che la cura dei primi 1.000 giorni di vita è un fattore di protezione fondamentale, sia per lo sviluppo e la salute fisica che per quella psichica ed emotiva.
La disponibilità del tempo pieno a scuola e la presenza di attività integrative, culturali e sportive, l’accessibilità (anche economica) al servizio mensa, l’accesso ai beni di “prima necessità educativa” (libri, dispositivi elettronici, connessione, abbonamento ai mezzi pubblici, ecc.), la possibilità di accedere ad aree verdi, sono tutti fattori che influenzano la possibilità di far fiorire liberamente le capacità individuali. I minorenni nel nostro Paese hanno però un accesso assai sperequato a questi beni e servizi, molto meno diffusi e utilizzati al sud e nelle periferie urbane delle regioni del nord. Ad esempio la media nazionale di verde pubblico urbano pro capite è di 32mq, ma in una città su 10 è meno di 9 mq.
Rispetto al diritto alla salute, i pediatri ospedalieri si sono ridotti drasticamente e il saldo negativo nel ricambio generazionale riuscirà a fatica ad essere colmato, peggiorando la già precaria situazione dei reparti. La situazione è ancora più critica nel caso della Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza. La carenza di organico in questi reparti si traduce in lunghe liste d’attesa per la presa in carico dei minorenni con disabilità, col rischio di pregiudicarne salute e recupero per l’intero arco della vita. Questi stessi reparti sono colpiti ulteriormente dal crescente disagio adolescenziale, aggravato dalla pandemia e caratterizzato da manifestazioni psicopatologiche e psichiatriche acute che, se non trattate tempestivamente, rischiano di cronicizzarsi e restare in carico ai servizi psichiatrici dedicati agli adulti.
La spesa complessiva per la salute mentale è però inferiore al 3% del FSN (Fondo Sociale Nazionale), una spesa inferiore di 2 punti percentuali a quella che l’OMS raccomanda per i Paesi a basso reddito.
Esiste nel nostro Paese anche un tema di protezione e tutela delle persone di minore età. Nel 2022 sono stati 6.857 i minorenni vittime di reato con un aumento del 10% dal 2021, quando il dato aveva superato per la prima volta quota 6 mila. L’82% sono bambine e ragazze. Maltrattamenti da parte di conviventi, abusi e violenza sessuale i reati più diffusi. Nel 91% dei casi l’autore del reato appartiene alla cerchia familiare. Non meno gravi e diffuse le violenze psicologiche e il ricorso a punizioni fisiche e umilianti o ad abusi verbali.
(1) La povertà assoluta costituisce la condizione di un individuo che non ha accesso a risorse essenziali come cure, cibo, casa e tutto ciò che gli è necessario per condurre una vita dignitosa.