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Ritorna al futuro

I diritti non sono più di moda?
Unisciti a noi e ritorna al futuro.

“Ritorna al futuro” è un grido con cui vorremmo chiamare all’azione quante più persone possibili per far tornare di moda i diritti, di tutti e per tutti, che vuol dire in primo luogo tornare a parlarne e acquisire nuova consapevolezza come persone e cittadini.

Parità di genere, politiche giovanili, lavoro sociale, diritti dei migranti e delle famiglie, qualunque forma esse abbiano: l’amara consapevolezza che questi temi siano di moda quanto i pantaloni a zampa nasce dalla nostra familiarità con essi, frutto del lavoro quotidiano dei nostri oltre 400 operatori.

Si tratta di temi che non coinvolgono solo le cosiddette fasce “fragili”, ma ci riguardano tutti, soprattutto dopo la lunga crisi economica e la pandemia che hanno colpito anche il nostro Paese. Eppure, nella società dell’informazione, non riescono a entrare nel dibattito pubblico, come se non riguardassero noi, la nostra quotidianità, le persone vicine.

Il ruolo della cooperazione sociale, per come la intendiamo, è anche fare cultura e informazione, e il primo passo verso la partecipazione è stimolare le persone a prendere consapevolezza delle sfide sociali da affrontare.

Tutti possiamo fare la nostra parte, nessuno escluso, anzi forse ormai è una scelta irrinunciabile per non vedere il terreno dei diritti erodersi sempre più velocemente e un minimo benessere personale e sociale diventare privilegio di pochi.

Una risata, per quanto amara, seppellirà le diseguaglianze: questa la nostra scommessa, unisciti a noi!

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Unisciti a noi
e ritorna al futuro.
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Cosa aspetti a metter su famiglia?

Che la famiglia (tradizionale) sia “in crisi” lo sentiamo ripetere da almeno un ventennio. Ma cosa si intende oggi esattamente con la parola famiglia?

Se apriamo la Treccani, troviamo questa definizione: “in senso ampio, comunità umana, diversamente caratterizzata nelle varie situazioni storiche e geografiche, ma in genere formata da persone legate fra loro da un rapporto di convivenza, di parentela, di affinità, che costituisce l’elemento fondamentale di ogni società, essendo essa finalizzata, nei suoi processi e nelle sue relazioni, alla perpetuazione della specie mediante la riproduzione” ma anche “sotto l’aspetto antropologico e sociologico, la famiglia si definisce come gruppo sociale caratterizzato dalla residenza comune, dalla cooperazione economica e dalla riproduzione”. La definizione prosegue in numerosissime sottocategorie, non solo semantiche.
A dare maggiore evidenza però dei mutamenti significativi delle forme e quindi del concetto di famiglia, è la definizione minima che ISTAT ne dà per poterle “contare” e cioè: “l’insieme delle persone coabitanti legate da vincoli di matrimonio o parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi”.

Alla base del quadro del nostro Paese c’è quello che viene definito “l’inverno demografico”.

Il 2022 ha registrato un nuovo record negativo di nascite, che sono progressivamente in calo costante ormai dal 2008. I nuovi nati sono ormai un terzo di quelli che si registravano 15 anni fa. Questo fenomeno ha cause complesse, alcune “strutturali”, come la riduzione e l’invecchiamento della popolazione femminile in età convenzionalmente considerata riproduttiva. Anche la fecondità continua a essere una tra le più basse e tardive del panorama europeo. Metà delle donne tra i 18 e i 49 anni è senza figli. Il numero medio di figli per donna nel 2023 è 1,24, in continuo calo dalla metà degli anni ’70, quando è sceso sotto la media del 2,1, cioè il valore teorico di equilibrio nel ricambio generazionale (la cosiddetta “seconda transizione demografica”). A diminuire non sembra essere tanto il desiderio di avere dei figli (8 donne su 10 dicono che ne vorranno in futuro), ma la possibilità concreta di realizzarlo. A rimandare i progetti di creazione di un nuovo nucleo familiare sono molti complessi fenomeni: il permanere nel nucleo d’origine dei giovani, il protrarsi dei tempi della formazione, la difficoltà a entrare nel mercato del lavoro e la sua instabilità, la difficoltà ad accedere al mercato abitativo.

Accanto al calo costante delle nascite, che non riesce a essere bilanciato dai flussi migratori, c’è un continuo e progressivo invecchiamento della popolazione. L’aspettativa di vita, e quella di vita in salute, si allungano progressivamente, nel 2042 si calcola che i supercentenari triplicheranno rispetto a oggi e quasi 2 milioni di persone avranno più di 80 anni, aumentando considerevolmente il debito demografico (spese sanitarie, previdenziali, etc).

Causa e conseguenza di questo stato di cose la particolare struttura dei legami intergenerazionali in Italia. Il legame genitori-figli è qui particolarmente forte: spesso ad esempio i figli vivono molto vicini ai genitori (intimacy at distance), anche dopo essere usciti dal nucleo d’origine i genitori costituiscono per loro un’agenzia di welfare supplendo in termini economici e di tempo alla mancanza di servizi e supporti.

La forza di questo vincolo tende però a irrigidire le barriere tra classi sociali, favorendo la trasmissione diretta delle risorse (economiche, sociali, etc.), ma anche delle fragilità, ed espone maggiormente i membri di una famiglia a rischi, nel momento in cui il vincolo viene spezzato.

Ciononostante, la famiglia “tradizionale”, appunto, sulla spinta anche di questi fenomeni demografici, non è più l’unico modello e neanche più quello prevalente.

Nel “Rapporto sulla popolazione” del 2023, dedicato proprio al tema delle famiglie, si parla infatti di “arcipelago di forme familiari”. Arcipelago che comprende forme quasi ossimoriche come le famiglie monopersonali (che sono ormai però la maggioranza relativa dei 25 milioni di famiglie stimate sul territorio nazionale) o il LAT (living apart toghether), cioè coppie legate da un legame affettivo ma che scelgono di non convivere, le famiglie monogenitoriali, non più solo costituite da madri sole con figli ma sempre più spesso anche da padri soli. In questo variegatissimo panorama le famiglie mononucleari (padre-madre-figli), come siamo stati abituati a pensarla, costituiscono solo il 30% del totale.

Le famiglie quindi aumentano (nel 2020 erano 4 milioni in più rispetto al 2000) ma progressivamente si abbassa il numero medio di componenti (si stima che nel 2040 il 39% delle persone vivranno sole e le coppie con figli, più della metà con un solo figlio, saranno il 25% del totale.

Negli ultimi decenni infatti è radicalmente cambiato il modo di formare e sciogliere le unioni. Tra il 2000 e il 2020 si passa da 652 matrimoni ogni mille abitanti a 475 nel 2019 (il dato del 2020 non è significativo per via delle restrizioni Covid). L’età media, nel ventennio considerato, è cresciuta di circa 6 anni, sia per le donne che per gli uomini. A triplicare invece, il numero delle seconde nozze e la percentuale di matrimoni civili (oggi il 53%).

La convivenza tra le giovani coppie italiane continua a essere considerata l’anticamera del matrimonio e, rispetto al resto d’Europa, si è diffusa con un certo ritardo, a partire dagli anni ’80. Negli ultimi 20 anni, comunque, le coppie conviventi sono passate dal 4 al 16%, contribuendo a un rapido aumento delle nascite fuori dal matrimonio (oggi il 36%).

Dall’entrata in vigore della legge 76 del 2016, infine, sono state celebrate 13.000 unioni civili tra persone dello stesso sesso, per lo più nelle regioni del centro-nord e nelle aree urbane.

Le separazioni legali rappresentano ancora oggi in Italia il fenomeno più rappresentativo dell’instabilità coniugale, considerando che non tutte si convertono in divorzi. Nel 2021, le separazioni sono state complessivamente 97.913 (+22,5% rispetto al 2020). Nello stesso anno, i divorzi sono stati 83.192, il 24,8% in più rispetto al 2019 e il 16,0% in meno, nel confronto con il 2016, anno di massimo relativo (99.071 divorzi), legato all’entrata in vigore (a maggio 2015) della legge sul “divorzio breve”.

Dalla maggiore instabilità matrimoniale nascono tutta una serie di nuove forme familiari. I figli sono sempre meno un fattore di protezione nel prevenire lo scioglimento di un’unione. Se nel 2014 solo il 12% degli adolescenti viveva in famiglia senza uno dei due genitori biologici, nel 2020 questo dato sale al 21%. Con l’aumentare delle convivenze poi, cresce il numero di figli che vive all’interno di famiglie ricostituite (che rappresentavano nel 2020 il 3% del totale delle famiglie con figli).

Oltre a questi macrofenomeni, a disegnare la mappa di questo nuovo arcipelago familiare, ci sono tutta una serie di forme familiari “invisibili”, più difficili da studiare. Un esempio sono le famiglie omosessuali, che a differenza delle coppie, non sono ancora definite da un punto di vista legislativo. Nella legge 76 del 2016 infatti la parola famiglia non viene mai utilizzata e i membri di un’unione civile non possono mai diventare entrambi genitori dello stesso figlio.

Un altro esempio già riportato brevemente sono i LAT, cioè coppie in una relazione stabile che decidono di non coabitare, spesso rilevati dalle indagini statistiche come persone sole o single. Il 18% delle persone che vivono sole però ha di fatto una relazione di coppia. In Italia, dove i giovani lasciano tardivamente la famiglia d’origine, questa categoria è particolarmente diffusa. Negli anni il fenomeno aumenta omogeneamente in tutte le fasce d’età, ma è più rappresentato nella fascia 18-29 anni e 30-44 anni. Caratteristiche delle persone che scelgono questo tipo di forma familiare: una prevalenza femminile (legata al titolo di studio) e lo stato civile (il 42% dichiarano di essere separati).

Vi sono infine i cosiddetti “pendolari della famiglia”, persone che per scelta o necessità vivono con una certa regolarità in luoghi diversi da quella che considerano essere la propria abitazione principale: nel 2016 rappresentavano il 7% della popolazione ed erano in prevalenza uomini del sud, tra i 18 e i 34 anni.

Tutelare i diritti di cittadinanza si esprime anche nel diritto di essere rappresentati nelle statistiche ufficiali, per vedere riconosciuti bisogni e attivare il decisore pubblico nel far fronte ai mutamenti nella struttura della nostra società.

La famiglia è un sistema complesso, multidimensionale, che si colloca sul discrimine tra individuo, comunità e popolazione, ed è quindi particolarmente importante nel disegnare (e ridisegnare) i sistemi di welfare.

Questi mutamenti nei modelli familiari si sono prodotti più lentamente che in altri Paesi europei, ma il ritardo della legislazione e dei sistemi di welfare nel leggere questi mutamenti e nel rispondere con servizi e sostegni adeguati, ha fatto sì che le famiglie italiane si trovino in maggiore difficoltà rispetto a quelle di altri Paesi europei.

Indagare e comprendere i modelli familiari e il loro evolversi e mutare consente quindi di riconoscere le nuove forme di questo arcipelago familiare e garantire ai singoli la legittimità delle scelte individuali, proteggendo i soggetti più deboli ed eliminando gli ostacoli alla mobilità sociale intergenerazionale.

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