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Può  sembrare strano, ma tutto è nato dal desiderio di reagire alla tanta indifferenza che ci circonda.

Quando è arrivata la telefonata di Simona, dal servizio affidi, ero in una situazione molto particolare: mi trovavo in aula informatica a scuola a fine dicembre, poco prima della scadenza per le domande di pensionamento. Davanti a me i colleghi attempati, tutti bisognosi di assistenza per la compilazione. Avevo appena perso la pazienza con tutti perché tra password dimenticate, cellulari dei figli, domande di recupero delle quali i colleghi ignoravano la risposta, era praticamente impossibile procedere nel lavoro. Avevo appena sbottato. La chiamata di Simona arriva proprio in quel momento: “Siete disponibili a incontrarci domani? Vorremmo parlarvi di un bambino speciale”. La testa è ancora ai colleghi, rispondo: “Certamente”, senza realizzare appieno.

Dopo qualche minuto chiamo Andrea per informarlo. Una pausa di incredulità, perché mai ci saremmo aspettati una proposta.

Simona e Stefania ci parlano di un bambino di quattro anni e mezzo. “Così piccolo?!” Pensavamo a un bimbo in età scolare, ma che fare? Il servizio e la solidarietà devono imparare ad adattarsi. Ci parlano di lui, ci raccontano la sua storia. Veniamo a sapere che è autistico. L’energia emotiva in gioco è alta, le coincidenze troppe, pare infatti che il suo padre biologico si chiami come me; alla fine dell’incontro salta anche fuori il suo nome. Lui si chiama Sam, lo stesso nome del padre di Andrea. Ci rendiamo conto che il legame è già scattato, ma è giusto prendersi qualche giorno per rifletterci.

Passano quattro giorni e scriviamo una email. Accettiamo. Seguiamo tutti i protocolli di rito e decidiamo anche quando e come conoscerlo. Siamo ansiosi e agitati. Ci facciamo forza dei consigli che Stefano ci ha dato durante uno degli incontri del gruppo genitori affidatari: “Vivete il momento. Lasciatevi andare. Le cose verranno da sé”. E così è stato, più o meno.

Arriva il  grande giorno. La mamma lo porta a casa nostra. Gli andiamo incontro in cortile. Non nascondiamo la nostra ansia. Sappiamo che i primi momenti determinano molto. Ma ora è lì. Un ragnetto avvinghiato alla sua mamma, che si è appena svegliato e si sta chiedendo perché tutte queste novità, dove si trovi e forse anche chi siamo. Ci guarda e noi lo guardiamo: un attimo sospeso di reciproca curiosità e accoglienza. Entriamo in casa e gli regaliamo un puzzle di Peppa Pig, perché pare siano i suoi preferiti. Lo vede ed è contento. Poi usciamo e andiamo in pasticceria.

Sono passati quattro anni e Sam è cresciuto molto. È un bambino solare e sempre in movimento. Si è creata con lui una buona relazione. Ama scrivere, gli piace guardare il calcio, impazzisce per Masha e Orso e per i Super Pigiamini. Ci chiama papà o a volte anche per nome. Può sembrare strano, ma quello che possiamo scrivere e raccontare è la normalità di una vita familiare fatta di pranzi e cene, giochi, canzoncine, disegni, lotte sul lettone o sul divano, capricci, cartoni animati. Quel primo sguardo per Sam è diventato importante, infatti lo cerca sempre come conferma, guida, approvazione e soprattutto amore. Possiamo dire senza esitazioni che siamo i suoi papà e che Sam è proprio quello giusto.

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