Un laboratorio autobiografico, differenti linguaggi estetici, un potente strumento di lavoro

Le storie sono potenti, aprono percorsi nuovi e mai pensati prima. Riscriverle, così come riascoltarle, posiziona ognuno di noi in punti diversi e magici rispetto a quanto si sta ascoltando o narrando. Questo non vuol dire che sia stato semplice scriverle o condividerle; alcune emozioni sono state forti e travolgenti, eppure ciò che ne è scaturito è di grande valore e sacra bellezza.
Non siamo andate alla ricerca del vero, non era questo l’obiettivo; l’esigenza era, piuttosto, quella di restituire valore alle vicende di donne che hanno molto da raccontare, ammirando come ogni storia si intrecci con le altre, pur restando unica.

L’idea del laboratorio autobiografico è nata all’interno dell’équipe di educatrici di Casa Graziella Campagna perché una delle donne ospiti ci ha chiesto di poter avere uno spazio per scrivere la sua storia.
Inizialmente le abbiamo comprato un quaderno e una matita, ma riscrivere la propria storia da sole non è un’operazione semplice, così abbiamo chiesto aiuto a Bruna Benedusi, un’amica e volontaria di Casa Graziella che ha frequentato la Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari.

Ha raccolto la nostra richiesta rilanciando la proposta di creare un gruppo di donne a cui proporre un laboratorio autobiografico.
Abbiamo così provato ad allargare la proposta ad altre donne della nostra comunità e alle donne ospiti di altre case della Cooperativa partecipando tutte insieme, educatrici e ospiti, pensando a quanto sarebbe stato bello scrivere e raccontarsi insieme per ritrovarci e riscoprirci.
Usando diversi linguaggi, Bruna, attraverso la metafora del viaggio, ci ha accompagnate in un’esperienza fatta di scritture, racconti, di ascolto reciproco uniti al lavoro manuale attraverso l’intreccio di fili e stoffe.
Durante l’incontro finale Gaia Bonanomi, una fotografa professionista, ci ha ritratte durante la scrittura e il lavoro d’intreccio.

È stato un percorso al femminile e anche un modo, per noi educatrici, di sperimentarci mettendoci più a nudo del solito.
Il laboratorio autobiografico ha ridotto le distanze e avvicinato i piani. Ci ha consentito di riscrivere e riraccontare la nostra storia aprendo spazi anche successivi di riflessione e nuovi significati.
Una possibilità di trasformare e di apprendere che ci ha portate nel cuore del lavoro educativo e di cura.

Le fotografie non ritraggono un gruppo di educatrici e di ospiti ma un gruppo di donne alla ricerca di se stesse e del senso della propria vita, che condividono gioie e dolori.
I testi che abbiamo raccolto compongono un racconto corale.

“Generare e rigenerarsi
seguire i fili
attraversando fuochi, ardere, bruciare
morire
sbocciare
tornare,
ricordare”

“Io credo nella mia libertà di raccontarmi con tutti i linguaggi immaginabili e non, per riscrivermi e riscrivere ogni giorno la mia storia
Che questa storia si intrecci e generi possibilità e bellezza con chi sente che la vita non ci appartiene, tuttavia ci attraversa”

Il lavoro autobiografico è stato un’occasione per rinarrare la propria storia e guardarla da una certa distanza, potendo scorgere elementi nuovi che magari ci erano sempre sfuggiti.
Il gruppo ci ha permesso di rispecchiarci negli altri e nelle loro storie, di creare condivisione, comunanza, sorellanza e di costruire comunità.

“Ho scritto il mio nome sulla sabbia, tante volte, al limite tra l’asciutto e l’onda, alla ricerca di quel confine che permette di affermare e afferrarsi all’equilibrio”

“Siamo qua. Siamo donne. Donne ferite, guarite, riunite… Credo molto che ognuna di noi é una donna forte, coraggiosa e pronta di godersi finalmente nostra vita come volevamo tanto da sempre!”

Le storie che sono state scritte raccontano di giorni luminosi, di gioie e gratitudini ma anche di passaggi cupi tutti femminili. Sono storie che raccontano la vita. Riteniamo infatti importante poter raccontare il bello ma avendo il coraggio di nominare anche il dolore.
D’altronde tutti noi siamo nati da una grande sofferenza: quello del parto.
Ciò ci insegna che attraversando i grandi dolori che hanno segnato la nostra vita possiamo rinascere molte volte.

“La sposa rom
Racchiude
Accozzaglia di elementi
in contrasto

I nodi interrompono
eppure connettono

Radici forti
ma misteriose,
indefinibili
confini, sconfinabili
mobili

Monili preziosi
accostati a erbacce
il fiocco di raso decora sterpaglie
eppure rimane fiocco

Stoffe d’oro preziose
Pentole rotte dai manici consumati

rimandano a mani nodose,
a sacrifici, sofferenze
e costrizioni tutte femminili
A volte i fili scorrono
ma nella testa si annodano

La sposa resiste
Radicata
e mobile
fedele
alla sua promessa di matrimonio con sé stessa

Accozzaglia di colori
disarmonica e armonica

Resiste
Esiste
Connette”

Ci auguriamo che questa esperienza possa essere la metafora del nostro lavoro: la ricerca della bellezza costante e quotidiana, cercando i fili che la compongono, convinte che nelle nostri voci risieda il potere più grande.
Un potere che ci permette di legittimarci per ciò che siamo e siamo state, per riconciliarci con il passato e per trasformarlo dentro a un faticoso percorso di autodeterminazione.